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Giovedì, 01 Novembre 2018 17:38

Il buon lavoro che vogliamo

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Il tema della creazione del buon lavoro, ossia del lavoro “libero, partecipativo, creativo e solidale” che è stato l’orizzonte della 48° Settimana Sociale dei cattolici italiani tenutasi a Cagliari quasi un anno fa ’ rimane centrale  anche nella situazione attuale.  Le trasformazioni tecnologiche  e digitali che costituiscono una formidabile innovazione dei processi produttivi  e della loro organizzazione, pongono delle sfide a cui il nostro Paese deve arrivare preparato. Ripercorrendo le proposte emerse dai lavori delle giornate sarde, che – è bene ricordarlo – sono state preparate e celebrate in uno spirito sinodale che ha inteso prendere in considerazione non solo i problemi e le criticità ma anche i punti di forza e le buone pratiche in atto nei diversi territori italiani, è possibile rilanciare tre  questioni oggi particolarmente “scottanti”.

In primo luogo il buon lavoro viene generato da una buona qualità imprenditoriale, dallo sforzo di imprenditori che apprendono  dal confronto con il mercato interno e internazionale, uno stille di innovazione e sanno investire risorse, e per questo hanno bisogno che l’amministrazione sia efficiente e la fiscalità sostenibile. Una contribuzione fiscale più equilibrata e una rimodulazione dell’IVA, commisurata alla capacità produttiva ed innovativa è fondamentale come “spinta gentile” verso gli imprenditori che pretendono di competere solo con strategie che penalizzano il lavoro o il rispetto dell’ambiente.

La fragilità del nostro mercato del lavoro deriva dal divario territoriale tra Nord e Mezzogiorno, ma anche da quello generazionale e di genere: è ancora troppo bassa la partecipazione al processo produttivo di giovani, di donne e di persone che vivono nelle regioni meridionali. In questo senso occorre riqualificare i percorsi di formazione professionale, ripensare le politiche attiva e rafforzare i percorsi di sostegno temporaneo al reddito nella prospettiva di una “inclusione attiva”.  Lo strumento del REI (Reddito di inclusione attiva) è stato superato senza averne valutato opportunamente gli effetti e il reddito di cittadinanza in discussione nella nuova legge di bilancio appare come una misura assistenziale finalizzata ad aiutare persone in difficoltà.  Forse in tal senso occorre ripensare un mix d politiche sociali ed economiche che rimettano al centro la crescita del tasso di partecipazione e di quello di occupazione. Il lavoro, fondamento del nostro patto costituzionale, deve essere focalizzato come obietti centrale delle politiche pubbliche.

In tal senso bisogno – come abbiamo fatto a Cagliari – ragionare non solo a livello nazionale ma soprattutto comunitario, poiché l’integrazione economica e sociale – ancor prima d quella monetaria – è un dato di fatto e si rivelano antistorici  prima che dannosi tutti quei  provvedimenti che pensano di  ragionare in modo autarchico e sovranista. Certamente abbiamo bisogno di un’Unione Europea meno tecnocratica e preoccupata del rigore e più popolare e preoccupata del benessere delle persone.

In ultimo, ma non per importanza, si pone la questione della armonizzazione tra tempi di lavoro e di risposo, ma anche di una differente e innovativa rimodulazione delle attività di cura che devono essere maggiormente riconosciute dai moderni ordinamenti democratici, aiutando le persone a dedicare un tempo più adeguato a “produrre” beni pubblici e  beni comuni che non possono essere assicurati dal mercato né possono essere a carico dell’intervento pubblico. Occorre lavorare per una visione più “civile” dell’economia, del welfare e dell’organizzazione dei servizi pubblici in senso più sussidiario e circolare, scommettendo di più sulla capacità cooperativa  delle persone e sull’innovatività delle piattaforme collaborative e solidali che in questi anni di crisi sono nate come risposta ad un modello capitalistico schiacciato sulla massimizzazione del profitto  a brevissimo periodo e sulla rendita finanziaria.

La povertà – come ha ricordato di recente il rapporto Caritas – è un fatto soprattutto relazionale e di organizzazione sociale e si combatte soprattutto trasformando la visione politica dell’economia e della società.

Giuseppe Notarstefano

 

fonte: Avvenire di Calabria